In solo un biennio di covid-19 la vita di tutti noi è cambiata: ci siamo ritrovati a confrontarci con noi stessi. Con la fuga sotto condizione dalla socialità che, a ieri, era l’abitudine a cui nessuno avrebbe potuto resistere.
Abbiamo combattuto con il nostro riflesso e contro l’atto stesso del muoverci, siamo rimasti congelati in quattro mura. L’alternativa “inclusa nel prezzo” è stata il ritiro nelle nostre stesse menti: muti, pensierosi, doloranti, soli.
Secondo le credenze medievali il temperamento melanconico avrebbe determinato un modo di vivere triste, infelice e sfortunato. In età rinascimentale, diventerà la chiave di una ascensione verso il divino, di una ricerca fatta di pensiero. Un pensiero inteso come abilità di calcolo e di misura.
Osservando il temperamento ascetico pur se di natura demonica, naturale, nell’immagine della Melanconia I, celebre lastra incisa dell’artista moderno Dürer (1514), si descrive una figura umana chinata, oscura, introflessa, con la testa pesante posata sulla mano, a reggerla, circondata da tutti gli strumenti necessari al calcolo e alla misurazione, assolta in uno stato di meditazione contemplativa.
A riguardo, nel lavoro di Frances Yates Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana, possiamo leggere:
«poiché quando è resa libera dall’humor melancholicus, l’anima è completamente concentrata nell’immaginazione, e diviene immediatamente sede dei demoni inferiori, da cui spesso riceve istruzioni meravigliose nelle arti manuali: così vediamo un uomo del tutto inesperto diventare improvvisamente pittore o architetto, o maestro assolutamente eccellente in qualche altro genere di
arte».
In piena età contemporanea la melanconia ha assunto a tutti gli effetti il senso di una malattia mentale. Nell’ambito della psicopatologia, oggi è definita come concetto del tutto sovrapponibile alla depressione.
Sopravvissuti ad una epidemia degna di ogni manuale di storia, ne siamo ovviamente usciti tutti cambiati. E tutti, almeno per un istante, siamo stati costretti a sentire sulla nostra pelle il brivido gelido dello stato d’animo melanconico.
Un grido collettivo, ammutolito, stretto e piegato verso un sorriso di scampo dal braccio della morte, e un pensiero a chi non è più tra noi, ci lega ormai gli uni agli altri, come un filo nero del destino. Ognuno di noi ha la sua storia da raccontare, i suoi demoni e le sue vittorie.
E voi, come avete vissuto questi ultimi mesi, cosa vi ha lasciato lo scontro con Melanconia? Esprimi la tua nella nostra pagina Facebook(qui). Raccontaci il tuo punto di vista nei commenti.